Attendevo da settimane un giorno libero per fare rotta su La Morra, con l’obiettivo di incontrare il leggendario Lorenzo Accomasso, e devo ammettere che non è stata cosa semplice; molti infatti mi avevano messo in guardia ripetendomi le stesse due cose: in primis che avrei avuto non poche difficoltà a concordare una data, la seconda che ne sarebbe valsa la pena. Vi confermo che è tutto vero, a cominciare dall’ardua impresa di parlare con il cavaliere in persona, visto che ha solo il telefono fisso ed è quasi sempre in vigna. Ci riesco dopo giornate di tentativi e fisso un appuntamento per la domenica pomeriggio, gli domando in quel frangente se avesse ancora qualche bottiglia del suo prezioso e raro vino, e mi saluta con un poco rassicurante “lo vedrai quando vieni“. Arrivo così puntuale come non mai in una grigia e nebbiosa giornata tipicamente langhigiana, assieme a due amici, Federico e Nicola. La casa/cantina è segnalata da un piccolo cartello a bordo strada, quindi si accede ad un ampio cortile dove è difficile comprendere quale sia il posto giusto (diverse case attaccate in serie), poi una targhetta ci fa capire dove dobbiamo bussare. Toc toc e la voce da dentro ci invita ad entrare, apriamo la porta e ci appare Lorenzo Accomasso in una delle sue pose abituali, con la sua figura possente dietro ad un tavolo colmo di bottiglie aperte e tappate, dalle quali spiccano alcuni suoi vecchi baroli ricoperti di polvere. La stanza, che dovrebbe essere un soggiorno, è stracolma di scatole e bottiglie a perdita d’occhio, alle pareti foto, attestati e premi ricevuti nel corso di molti anni di onorata carriera, alle sue spalle la grande foto delle sue “figlie”, le vigne Rocchette e Rocche. Inizia da subito a parlare come se fossimo amici di vecchia data, ci racconta così dei lavori in vigna, dei progetti futuri, delle difficoltà quotidiane, ma soprattutto si lascia andare come un libro aperto. Mentre parla il suo sguardo è sempre rivolto verso la porta d’ingresso, come per lanciare la mente oltre, più lontano, quasi a rivivere quei ricordi. Di tanto in tanto ci lancia uno sguardo oppure, ripensando a certi momenti, sorride sotto i baffoni bianchi, mostrando una bocca ormai quasi del tutto sdentata. Ci rivela il lato umano e fragile quando ricorda la sorella Elena, venuta a mancare nel corso dell’estate, e di una particolare scommessa che avevano fatto tra di loro, lei che era stata al suo fianco praticamente per tutta la vita e che si occupava in azienda della parte amministrativa. Ad un certo punto afferra una bottiglia evidentemente datata e priva di etichetta, l’avvicino al naso e scopro una complessità mostruosa, colore ancora vivo più che mai, bocca freschissima, un capolavoro. Lorenzo l’annusa e senza indugio alcuno afferma che si tratta di un “Rocche”, riconoscendone gli inebrianti profumi. Quello che ci lascia sbalorditi, oltre alla memoria strepitosa del cavaliere, è l’annata, un buon 1967! Proseguiamo la piacevole conversazione parlando di “cose” di tutti i giorni, è lui che detta i tempi e gli argomenti, intervallando ogni discorso con lunghe pause mentre fissa il niente o forse il tutto. Guardandomi intorno scovo anche diverse bottiglie non sue, molte delle quali immagino donate da altri produttori passati a trovarlo, oltre ad altri regali ricevuti appoggiati qua e là. Il tempo è passato rapidamente ascoltando storie di vita e di vigna vissuta, iniziano così ad arrivare altri visitatori che avevano come noi concordato una visita. E’ qui che comincia la suspence perché, diciamocela tutta, eravamo lì anche per acquistare il suo vino, e fino a quel momento non era stato toccato quel tasto essendo completamente assorbiti e stregati dalle storie del grande vignaiolo. Con un po’ di timore facciamo quindi la fatidica domanda e, dopo un’iniziale espressione poco rassicurante, veniamo accontentati con alcune bottiglie, un pò meno di quanto sperato ma comunque un buon “bottino”. Comprendiamo bene le ragioni dell’oculata parsimonia, si tratta di un piccolo produttore da circa 10.000 bottiglie all’anno con 2/3 tipologie di Barolo e una Barbera, la Pochi Filagn, una gran bella boccia. Al momento dei saluti decidiamo di fare alcuni scatti per immortalare il momento, poi riprendiamo la via del ritorno con un flebile sole che lascia scorgere il panorama. Tornando alla seconda affermazione di cui accennavo all’inizio, ne è valsa assolutamente la pena…
Alla prossima!!!